martedì, novembre 25, 2008

L'Associazione familiari e sostenitori dei sofferenti psichici della Tuscia

Disagio, malattia che non si cura con le medicine Folli, schizzati, scemi, "di fuori". Nel migliore dei casi, poverini. La sofferenza psichica oggi, a trent'anni dalla chiusura dei manicomi sancita dalla legge Basaglia, è ancora qualcosa in cui l'ignoranza e l'indifferenza regnano sovrane.
Spesso qualcosa da tenere lontano sebbene non più serrata dietro le alte mura di cinta dei manicomi.
In un'epoca in cui c'è poco spazio per i "secondi" non di rado lavorare, avere relazioni sociali e affettive e godere del tempo libero per queste persone definite scientificamente "diversamente abili" non è facile.
Vito Ferrante, presidente dell'Associazione familiari e sostenitori dei sofferenti psichici della Tuscia, lo sa bene.
Un uomo che ha impegnato la sua vita perché alle persone che soffrono di disturbi mentali sia garantito il riconoscimento effettivo dei diritti civili, oltre che accedere ad un livello soddisfacente della qualità della vita propria e dei loro familiari.
Una qualità di vita intesa come risposta a certi bisogni fondamentali (abitare, lavorare, avere relazioni sociali affettive) non solo contribuendo all'applicazione della legge 180, ma soprattutto lo spirito che la anima, basato sul superamento della logica di separatezza che per lungo tempo ha contrapposto concetti del tipo medico-paziente, operatori sociosanitari-familiari.
Un uomo che ha un'energia e una determinazione nel portare avanti la sua "missione" che salta agli occhi.
Ha combattuto e non ha smesso di farlo in nome dei diritti di chi, come sua figlia Vittoria, lotta tutti i giorni contro ciò che per i sani di mente è comunemente chiamata follia.
Qual è il vostro intento?
"Promuovere una visione della cura centrata soprattutto su una relazione tra curante e curato che lasci emergere la soggettività del paziente.
In 15 anni di attività l'associazione, oltre a farsi ponte tra gli utenti e le strutture sociosanitarie, ha offerto accoglienza, sostegno psicologico a persone con disagio psichico e ai loro familiari, promuovendo insieme alle equipe multidisciplinari con cui collaboriamo, la formulazione e l'effettiva realizzazione di progetti individuali.
Vigiliamo sulla loro attuazione, sulle modalità dei processi e sui metodi attivati, in particolare sulla qualità delle relazioni costruite con l'utente e la sua famiglia sia in ambito pubblico che privato.
Siamo attenti a segnalare e denunciare eventuali situazioni di abbandono o inadeguata presa in carico dell'utente e della sua famiglia, o di qualsiasi condizione lesiva della dignità della persona con disagio psichico.
Tra le numerose iniziative dell'Afesopsit anche quella fondamentale di favorire lo sviluppo dell'abitare assistito, attraverso il reperimento di abitazioni civili, di cui l'associazione si fa garante favorendo inoltre attività di formazione per l'acquisizione di competenze necessarie allo svolgimento di attività produttive che garantiscano un reddito alle persone con disagio psichico."
Non deve essere semplice garantire tali servizi.
"Il nostro è un vero e proprio lavoro che richiede presenza ed energie costanti. Per quanto la situazione dei servizi sanitari garantiti dalla Asl non sia una delle peggiori, spesso è molto difficile per i sofferenti psichici e per i loro familiari esercitare i propri diritti senza rimanere incastrati negli ingranaggi della burocrazie talvolta tra l'indifferenza di addetti che non fanno sempre il loro dovere."
Quali problemi affrontate?
"Non è semplice trovare adeguata assistenza, la giusta strada tra il servizio pubblico e quello privato: spesso si rischia di essere trattati come malati da curare a suon di psicofarmaci in una logica che vede il medico da una parte e l'utente, le loro famiglie e l'associazionismo dall'altra.
É una delle logiche che combattiamo con maggior forza. C'è bisogno di sinergia, di lavoro corale tra le parti. Non solo una medicina può garantire la cura a chi soffre di disturbi mentali, è necessario aiutarli a vivere dignitosamente, trovare uno spazio dove farli esprimere, lavorare, avere contatti sociali, stimolare le loro abilità.
Li chiamano diversamente abili: e chi non lo è? Anche io lo sono, tutti lo siamo. Solo che questa persone hanno bisogno dei loro tempi, hanno capacità e sensibilità diverse ma non per questo inferiori a chi viene considerato normale"

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