venerdì, settembre 04, 2009

La Contesa di Viterbo: Come i coraggiosi Viterbesi resistettero allassedio di Federico II

Fa caldo, mercoledì sera, in centro a Viterbo. Ma gli spettatori, animati dall'emozione che circonda la festa di Santa Rosa, non sono mancati al tradizionale appuntamento con la Contesa, la rievocazione di un battaglia medievale portata in scena in piazza San Lorenzo da figuranti in costume.
L'evento, che ha riscosso come semprte un importante successo, è stato organizzato dal Comitato centro storico.
Questa la storia della "Contesa". Siamo nel 1243.
L'avvicendarsi della presa di possesso della città di Viterbo testimonia l'altalenarsi della guida politica nel territorio Italiano in cui si confrontarono le Chiavi di San Pietro (Stato Pontificio) con le aquile imperiali (Sacro Romano Impero Germanico).
Le due figure del papa Innocenzo IV e dell'imperatore Federico II si contrappongono, assicurando la protezione degli amministratori dei centri abitati che si schierano con uno di loro.
L'imperatore passa gran parte del suo tempo nelle residenze italiane e faceva sentire forte la sua influenza nel governo dei liberi Comuni.
Nei numerosi viaggi da Nord verso la terra natia della Sicilia, Viterbo rappresenta una tappa ed una base importante per dar slancio agli attacchi contro la città di Roma in cui risiede il Papa.
I primi decenni del secolo tredicesimo furono anni tranquilli, in cui la prosperità si tradusse nel rifiorire delle arti e delle attività economiche.
Non fu però altrettanto tranquilla la situazione religiosa, dove le contrapposizioni e le diverse interpretazioni dei fondamenti etici e morali, misero in discussione la stabilità della Chiesa temporale.
é il momento delle grandi figure religiose che caratterizzarono l'inizio del secolo tredicesimo e coinvolsero la terra di Tuscia: San Francesco d'Assisi, san Bonaventura e Santa Rosa Di Viterbo.
Nella rievocazione storica si vuole ricordare la fulgida evidenza dello spirito di indipendenza della Città di Viterbo in cui confondendosi tra storia e legenda si narrano numerosi episodi gloriosi e di altri che pur non ricordando i nomi dei protagonisti, ebbero comunque un ruolo di vitale importanza: l'assedio, la resistenza dei soldati, i poveri cittadini, gli artigiani e i contadini,usi soltanto a piegare le loro schiene nel duro lavoro di ogni giorno, i bambini e i ragazzi che invece di cimentarsi nei soliti loro giochi dovettero far fronte e forse anche ad essere protagonisti di azioni violente.
Il 10 novembre 1243, martedì, si ebbe il culmine e il termine del lungo assedio che stringeva la città contro i ripetuti attacchi delle soldataglie al comando dei luogotenenti di Federico Ii.
Le truppe che assalivano da accidente, tra Porta Santa Lucia e Porta del Carmine, non riuscivano a far breccia nelle difese approntate dai cittadini.
Nella Valle di Faul, dove mancavano le mura, era stato scavato un ampio fossato, con un alta palizzata che chiudeva l'unica parte della città che fosse indifesa.
Sulle torri, assiepati oltre ai soldati, vi era anche la popolazione civile.
In particolare le donne, oltre a prestare soccorso ai feriti e a portar rifornimento come cibo e materiali d'assalto, a loro volta si cimentavano in veri e propri duelli contro chi riusciva a raggiungere la cima degli spalti dopo aver superato il fossato.
Una di esse, scavalcata tutta inerme la fossa, vibrò con un tal impeto una pietra sulla testa del teutonico guerriero che ferito,gli strappò a forza l'elmo dal capo e, dopo averlo messo sulla sua fronte, tornò vittoriosa tra i suoi.
Fu solo un evento tanto particolare quanto misterioso che portò lo scompiglio tra le file degli assalitori.
La messa a fuoco del campo nemico avvenne infatti grazie ad alcuni ardimentosi che, attraverso dei cunicoli scavati anzitempo, poterono addentrarsi alle spalle degli assalitori e averla vinta sui pochi soldati rimasti a guardia.
Le alte fiamme che subito si levarono tra le tende distrussero in breve gli alloggiamenti e i soldati, temendo un attacco alle spalle, si dettero ad una precipitosa fuga.
I viterbesi racchiusi dentro le mura ebbero così l'opportunità di rompere l'assedio e distrussero sia le macchine da guerra che gli ostacoli a loto opposti.
A nulla valsero gli incitamenti di ricomporre le fila dell'esercito tedesco.
Lo stesso Federico, nonostante il suo ardimento e le minacce profuse per ricondurre gli armigeri alla battaglia, vide con sgomento l dileguarsi delle sue truppe e sfuggirgli così la vittoria che credeva già in pugno.
Questa pesante sconfitta bruciò a Federico II per il mancato completamento del suo disegno sul territorio italiano e per quanto poi seguì nelle conseguenze dei suoi sudditi, trucidati con infamia.
Egli lanciò l'anatema contro le mura di Viterbo, con odio:
"le sue ossa non avrebbero trovato riposo nel sepolcro finché la proterva città non fosse stata castigata."
Ma questo non avvenne mai

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