venerdì, giugno 03, 2011

Mani: la mostra fotografica di Walter Selva alla sala Almadiani

C'è stata una strana metamorfosi, in Walter Selva. Il sorriso, quello, è rimasto nel corso degli anni immutato. É sempre lo stesso: gentile, dolce, quasi esitante. Negli occhi, invece, è successo qualcosa: è come se, a poco a poco, si fossero ritirati in se stessi: ansiosi, scrutatori, ma anche rivolti all'interno, a quel grumo d'ombra che, a ben vedere, presuppone l'esperienza del dolore. Si capisce meglio, questo dato interiore, guardando le sue foto. Undicimila scatti, dodici sessioni, otto modelle: il risultato (intensissimo) sono cinquantotto immagini, in mostra alla sala Almadiani (a via Saffi), il cui ricavato, tiene a dire il 58enne fotografo del "Corriere di Viterbo", sarà interamente devoluto all'associazione "Beatrice", che si occupa della prevenzione - e cura - del cancro al seno. Otto modelle (che, la loro opera, l'hanno prestata gratuitamente). I loro volti - ci sono perfino delle madri e delle figlie - non si vedono. Eppure, hanno una loro identità.
E quest'identità - di volta in volta, manifesta o cercata (quasi una identità "in progress") - è tutta lì, nelle loro mani. E "Mani" s'intitola, appunto, questa mostra. Le mani: non c'è nulla, in questo "nuovo"Selva, della smaterializzazione, quasi rarefazione della realtà che, almeno come aspirazione, sopravviveva, un tempo, quale tratto distintivo di questo artista. Qui, all'astrazione, è subentrata - anche crudamente - la conflittualità: del buio con la chiarità, del gorgo d'ombra con la luce, del corpo femminile (delle sue curve e anse) con se stesso. Le mani, qui, hanno una grande funzione mediatrice: stanno, con un accenno di movimento, tra la luce e l'ombra. Quasi a separarle. A lasciarsi bagnare dalla luce e, nello stesso tempo, a respingere il buio.
Perché, qui, c'è qualcosa - una "avidità" del buio - che, da un momento all'altro, potrebbe risucchiare, annullandoli, quegli splendidi e sensuali (ma anche sofferti) corpi di donna. C'è da chiedersi cosa, nella sua vita, abbia sperimentato, questo fotografo-gentiluomo d'altri tempi, dell'amarezza e del dolore.
Eppure, alla fine, è proprio dalle mani che, in qualche misura, viene la salvezza. Perché loro - le mani - sfiorano, vivificano, cercano, si cercano, e, a chi guarda, fanno conoscere e rivelano. Le mani, diceva Moravia, non gli occhi, identificano una donna. Si vede, qui, quanto questo sia vero. In queste mani, c'è un che di raggelato: ma, insieme, la consapevolezza di una forza. Come certi romanzi di Kundera, che, giustapponendo filoni del tutto autonomi, li fanno misteriosamente interagire, Walter Selva, anche stavolta ha voluto che, con la sua mostra, ne convivesse un'altra. Quella d'una artigiana-artista di 25 anni, Roberta Pietrini, che lavora la pelle. E che, alle borse e agli altri articoli, associa una tecnica sartoriale in grado di fondere, mirabilmente, disegno e pittura. Questa ragazza, che ama i costumi giapponesi e la campagna, "interagisce" con Selva. E le immagini del fotografo - realizzate con una macchinetta Kanon 5d Mark 2 - prendono a vivere, una volta che le si è guardate, nella memoria, a ricordare a tutti una cosa: che, se non si è capaci di immergersi fino in fondo nella realtà, anche a costo d'intorbidarsi, non si è artisti. Perché solo così, calandosi nell'oscurità della materia, si può scoprire la purezza

Nicola Moncada

Corriere di Viterbo Venerdì 3 Giugno 2011

Nessun commento:

Posta un commento