La piccola fornace che si affaccia sulla valle dei Calanchi è una giovane attività, ma vanta anni di esperienza, grazie alla tradizione secolare squisitamente tramandata da padre in figlio e portata in dono dal mastro Peppe, un guro della lavorazione del cotto fatto a mano, 'fornaciaro' per passione sin dall'infanzia.
Erano i tempi in cui l'argilla si estraeva a suon di pala e piccone e si trainava con la sola forza dei ciuchi, quando ancora la si impastava con i piedi, tra i canti che davano il ritmo e il sudore della fronte.
Pietro Facchini, giovane proprietario della Fornace cellenese è nel settore solo dai primi anni novanta, ma l'incontro con un uomo che fece del proprio lavoro non solo una passione ma un vero e proprio stile di vita, lo ho portato ad essere oggi un artigiano con un grande bagaglio di competenze e segreti del mestiere.
"Sono originario di Roma - si presenta Pietro Facchini - mi sono trasferito qui non solo per la bellezza di questa terra, ma soprattutto per amore.Una tradizione quella della lavorazione del cotto che veniva praticata in questa zona, compresa tra la valle del Tevere e i monti Cimini, già per le costruzioni i dei 'laterizi' impiegati per le costruzioni dell'antica Roma.
Dopo essermi sposato, insieme a mia moglie conoscemmo un vecchio artigiano che amava moltissimo il suo lavoro e svolgeva un mestiere che non solo non avevamo mai visto fare prima, ma dì cui non avremmo mai sospettato l'esistenza o meglio la persistenza nell'era contemporanea di questo nostro Occidente.
Fabbricava mattoni fatti a mano: ad uno ad uno li formava e li depositava al suolo, sembrava la cosa più semplice e naturale del mondo.
Ed è cosi che nasce la mia fornace: dall'amore di una vecchio artigiano che mi ha trasmesso tutta la passione per un lavoro che oggi non pratica più ma la cui esperienza è ancora nitida in questi mattoni."
"Come allora - spiega - alla creta aggiungiamo solo acqua e lavoro, una pratica antichissima che ci unisce alla tradizione di questa terra e alle sue risorse.Qui sono innumerevoli le forme e le dimensioni dei mattoni fatti a mano, uno ad uno, utilizzabili nelle pavimentazioni ma anche per il rivestimento di tetti e nelle diverse soluzioni secondo le esigenze della committenza.
- continua - È con il solo utilizzo dei cinque elementi che nascono i nostri prodotti, manufatti sempre uguali da secoli nella forma, ma unici nei particolari e nel calore del materiale che si plasma sotto la mano dell'esperto 'fornaciaro'.
Della pratica che riporta agli Etruschi come ai Romani non abbiamo cambiato nulla ed è con tenacia che ci imponiamo di lavorare in questo modo, proprio per preservare una delle abilità più nobili e antiche che l'uomo ricordi.
L'unica cosa che differisce dalla lavorazione propria di queste antiche civiltà - sorride -è che oggi non impastiamo più la creta con i piedi ma fortunatamente utilizziamo un'impastatrice."
I manufatti in cotto firmati Fornace cellenese inoltre non solo rispettano l'ambiente dalla loro fabbricazione allo smaltimento, ma sono prodotti con un consumo energetico minimo, non contengono sostanze tossiche e possono essere completamente riutilizzati.
Che siano esagonali, ottagonali o quadrati, solo per citarne alcuni, questi mattoni in cotto hanno tutti un comune denominatore: sono il frutto di una magnifica artigianalità che prende forma dall'impastatura alla cottura.
"La prima fase del lavoro consiste nel reperimento dell'argilla nella cava di Grotte santo Stefano - spiega - dopo di che si aggiunge alla terra solo acqua, senza l'aggiunta di agenti chimici o coloranti.
La pasta così ottenuta viene impastata e messa negli stampi. Dopo la 'scastraturà, che in gergo fornaciaro significa togliere dai margini le eventuali sbavature, i mattoni vengono capovolti e lasciati asciugare.
Poi sono necessari due giorni per la 'temprerà in cui i mattoni perdono ogni traccia di acqua prima di essere cotti per tre giorni e tre notti nel forno, (un pozzo ellittico profondo oltre 4 metri che può cuocere fino a 1800 mattoni) alimentato solo con legna di scarto e che raggiunge temperature dai 950 a 1000 gradi.
Poi passati 4 o 5 giorni per il raffreddamento sono pronti per essere utilizzati"
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