Presiederà una solenne concelebrazione alle 11 il vescovo di Viterbo, monsignor Lorenzo Chiarinelli. L'avevano battezzata col nome di Clarice. Cresceva a Vignanello, dov'era nata nel 1585, nel castello del padre. Figlia del conte Marcantonio Marescotti e di donna Ottavia Orsini (il cui padre aveva realizzato il parco dei Mostri di Bomarzo), studiò, assieme alle sue due sorelle Ginevra e Ortensia, al convento di San Bernardino a Viterbo. Al termine degli studi Ginevra rimase in convento e prese il nome di suor Immacolata. Clarice e Ortensia furono introdotte nelle migliori case. Clarice era molto attratta dal giovane Paolo Capizucchi ma egli chiese la mano della sorella minore Ortensia. Clarice ne rimase sconvolta e dopo qualche settimana decise di raggiungere la sorella suor Immacolata a San Bernardino. Lì prese i voti adottando il nome di suor Giacinta. Fu una conversione soltanto esteriore: in convento suor Giacinta tenne atteggiamenti contrari alla disciplina della devozione. Anziché vivere in una cella, si fece arredare un intero appartamento nello stile delle sue stanze a Vignanello, ed era servita da due giovani novizie. Condusse vita mondana fino al 1615, quando, in seguito ad una malattia, entrò in una crisi spirituale: si ritrovò sola e gridò forte
"Oh Dio ti supplico, dai un senso alla mia vita, dammi la speranza, dammi la salvezza!."Era profondamente sincera e Dio la ascoltò. Il giorno dopo venne a trovarla il padre confessore e la notte seguente suor Giacinta trascorse l'intera notte pregando, e provò una serenità ultraterrena. Si convertì e si diede ad esercizi di penitenza e di perfezione cristiana. Dedicò il resto della sua vita ad aiutare il prossimo. Fra le numerose conversioni da lei operate è rimasta famosa quella di Francesco Pacini, un soldato pistoiese. Di lui si servì per stabilire, con opportune regole, due importanti opere di carità: la confraternita dei Sacconi, per l'assistenza degli infermi, alla quale il cardinale Tiberio Muti, vescovo di Viterbo assegnò la chiesa di Santa Maria delle Rose e la confraternita degli Oblati di Maria, per l'assistenza ai vecchi e agli invalidi. Perché un ospizio fosse creato per loro presso la chiesa di San Carlo in Pianoscarano, chiese denari ai vicini e ai lontani e quando, per le incomprensioni dei buoni e le calunnie dei malvagi, l'opera correva il pericolo di perire, saliva al piano superiore del monastero da cui si poteva scorgere la chiesa di San Carlo e pregava. Per farla desistere da quelle opere di misericordia il demonio cercava, ma inutilmente, di metterle in cuore suggestioni che avevano tutta l'apparenza di verità:
"Che hai tu a fare, povera monaca di clausura, con la vita attiva degli uomini? Hai tu forse la capacità di Teresa d'Avila per fondare e dirigere confraternite? Tuo compito è la vita contemplativa. Faresti meglio, perciò, a restartene in cella anziché andare alla grata per conversare con le persone del mondo."A rasserenare l'animo angustiato della clarissa intervenne un fatto prodigioso. Francesco Pacini, dopo il consolidamento delle due confraternite, si era ritirato a fare vita eremitica nell'isola d'Elba. Dopo un certo tempo egli senti d'improvviso e fortissimo l'impulso di ritornare a Viterbo. Suor Giaciuta, bisognosa della presenza di lui, per impedire che la confraternita degli Oblati di Maria si sfasciasse, aveva supplicato il proprio confessore di richiamarlo al momento della messa. Nella stessa ora la santa, che non conosceva il luogo dove il penitente si trovava per propria scelta, pregò tra le lacrime. La confraternita sotto la direzione di lui prese novella vita e fu riconosciuta dal vescovo di Viterbo, il cardinale Francesco Brancacci.
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