"Non ti preoccupare mia cara Olimpia, tanto Roma è tutta un vespasiano."
Con queste parole Alberto Sordi, protagonista de "Il marchese del Grillo" di Mario Monicelli, mostrava un disprezzo "progressista" per i beni monumentali della Roma imperiale, un sentimento che oggi ritroviamo aleggiare nei pressi dell'anfiteatro augusteo di Ferento. Va precisato che, rispetto alla vicina necropoli dell'Acquarossa, di cui leggete a fianco, la situazione a Ferento appare senza dubbio più rosea, almeno superficialmente: malgrado qui i visitatori non siano accolti dal lezzo di marcescenza che caratterizza l'Acquarossa, desolazione e abbandono rimangono fattori caratterizzanti. Niente Olimpia, niente Gasperino il carbonaio, personaggi iconici del capolavoro di Monicelli, solo silenzio e trascuratezza. Apparentemente l'area è recintata e chiusa, scelta che, pur garantendo una relativa sicurezza alla zona, preclude sicuramente l'accessibilità turistica.
A ridefinire il concetto di "relativa sicurezza" appena enunciato, cercando un po' (senza grande impegno, ad esser sinceri) si riesce a trovare almeno due punti in cui la recinzione presenta fori tanto grandi da permette a chiunque di entrare agilmente nelle rovine. É possibile, quindi, accedere con estrema facilità all'anfiteatro, unici ostacoli l'erba alta e le sterpaglie. Su questo punto vale la pena soffermarsi, perché a Ferento, anche volendo, non si riesce a camminare, più che altro si incede, e faticosamente, attraverso un intricato sistema di cespugliame vario. Nel caso poi ci si voglia inoltrare ancora più in profondità nell'area delle rovine, verso gli scavi nuovi, lo si può fare tranquillamente, portando magari a casa un souvenir vecchio di secoli, vista la totale assenza di una qualsiasi forma di sorveglianza; inoltre, in questa sezione dell'area ferentina, si possono trovare i rifiuti che non abbiamo trovato all'ingresso, ma se non altro, questa volta, sono raccolti in grandi sacchi di plastica, antiestetici ma funzionali. Una delle questioni più sgradevoli dell'intera faccenda emerge quando si corre col pensiero alla stagione degli spettacoli estivi, quando quegli stessi spalti ospitano i nobili quarti posteriori di quegli amministratori pubblici che dovrebbero garantire la tutela ad eternum (salvo catastrofi) di questo luogo storico.
Il problema è che Ferento viene considerato, al pari di un parco acquatico, un'attrazione stagionale: usato per rappresentazioni varie durante i mesi caldi, viene quasi del tutto dimenticato durante il resto dell'anno. Lontano dagli occhi lontano dal cuore, recita il motto di Seneca, e tale deve essere il credo condiviso dalle autorità, se, dopo solo pochi mesi dalla fine degli spettacoli, questi luoghi giacciono incustoditi e abbandonati. Mentre l'edera parassita si arrampica pigramente lungo gli archi millenari retrostanti il palco del teatro (elemento insospettabilmente lesivo per le rovine), viene da chiedersi quanto la struttura potrebbe guadagnare in magnificenza, se curata a dovere, e quanti benefici potrebbe trarre l'economia di Viterbo se certe zone fossero, usando un termine di gran moda, adeguatamente "riqualificate"
Alessandro Bruni
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